«FUGGIRE? PERCHÉ FUGGIRE? Un necessario preambolo. Avevo cominciato a scrivere queste “memorie” in occasione del 25° anniversario della testimonianza di fede di fra Camillo, fra Francesco e fra Oreste, martirizzati a Inhassunge il 27 marzo del 1989. Oggi è il loro 27° anniversario! Rimasero a Inhassunge per essere fedeli alla loro vocazione.Varie circostanze mi hanno impedito di realizzare il mio progetto: il lavoro pastorale in parrocchia a Taranto, poi il trasferimento ad Alessano e, non ultimo un virus al computer che ha messo in rischio tutto il lavoro! Camillo! Fra Camillo e insieme a te saluto Fra Francesco e Fra Oreste! Ora siete davanti al Padre di ogni consolazione, con il nostro Dio di misericordia al quale avete offerto la vostra vita come sacrificio pasquale nel Lunedì dell’Angelo di 25 anni fa. Fra Francesco Bortolotti e fra Oreste Saltori martiri di Inhassunge con fra Camillo Campanella E voglio ricordare anche fra Giocondo Pagliara che con voi ha vissuto la vostra tragedia ed è stato testimone del vostro martirio. Papa Giovanni Paolo 2° riceve fra Giocondo Igino Pagliare Per voi ormai il tempo non conta più, ma noi ancora contiamo gli anni, i mesi, i giorni, le ore! Qui fra Camillo e fra Francesco offrirono la loro vita In quell’angolo di terra tra il Mukurro e il grande canale-fiume che la marea tropicale ogni giorno riempie e svuota! Angolo di terra in cui cercavate rifugio tra il canneto e il bananeto… Dolore e preghiera: onore ai martiri! fra Francisco Chimoio e fra Francesco Monticchio E proprio lì la furia della guerra e della violenza umana vi colpì e vi offrì al Dio della Pace, scintille di resurrezione, sacrificio di pace, per mani violente di uomini ai quali avevate dedicato tutta la vostra vita! E la vostra vita, con quell’acqua che tornava verso l’oceano Indiano, fu portata nell’infinito oceano dell’amore del Padre. Fra Camillo con i rifugiati «Io domani vado a Inhassunge, ma quella è un’isola di pace! Fra Camillo inaugura le cooperative delle saline ad Innhassunge Eri tornato a Inhassunge, come facevi quasi ogni domenica, per celebrare la Pasqua con la tua gente, tra i rifugiati che in quei luoghi avevano cercato la pace, rifugiati ai quali tu con tanta attenzione dispensavi “as calamidades” (gli aiuti) della Caritas diocesana, che oculatamente gestivi. “As calamidades” (gli aiuti) della Caritas diocesana e dei frati Cappuccini Ci volle del tempo per riuscire a imbarcarmi e partire. Ad un certo punto guardasti l’orologio e mi dicesti: «In questo momento dovevo essere in cattedrale per accompagnare il vescovo per la celebrazione della passione e morte del Signore Gesù del Venerdì Santo. Pazienza! Non faccio più in tempo! Però sono riuscito a farti partire per Mopeia! I cristiani di quella comunità saranno contenti! Anche per loro il Signore Gesù sta soffrendo la sua passione e sta offrendo al Padre la sua vita!». I 5 voli per trasportare a Morrumbala 20 tonnellate di aiuti Poi, come al tuo solito, all’improvviso cambiasti tono e, tra ironico e faceto, continuasti: «Francé, non fare il fesso, come sempre! Magari te ne resti a Mopeia una decina di giorni! Non dimenticare che vai nel cuore della guerra civile! A Mopeia si spara e si combatte. Non fare come facesti il mese scorso quando andasti a Morrumbala. Fra Francisco Chimoio e fra Francesco col sindaco di Morrumbala Dopo aver fatto quei 5 voli con l’aereo Dakota per portare 20 tonnellate di aiuti ai rifugiati di quella nostra missione, rimanesti lì per tanti giorni senza far sapere più niente di te. E noi qui a chiederci, preoccupati, che cosa ti fosse successo. Poi, quando ti stancasti, andasti a ‘scocciare’ i militari per mandarci, gridando, il tuo solito messaggio: ‘mandatemi un aereo!’». Dopo il quinto volo, decisi di rimanere a Morrumbala Ma tu, Camillo, non ricordavi bene come erano andate le cose. Io veramente feci quei 5 voli con l’aereo Dakota da 4 tonnellate l’uno. Dopo il quinto volo, decisi di rimanere a Morrumbala per organizzare la distribuzione di tutto quel ben di Dio venuto dall’Italia e dalle tue cooperative delle saline e di pesca: viveri, vestiti, sapone, sale, pesce secco e quant’altro, aspettando nel frattempo il sesto volo. Vidi i circa 5.000 rifugiati Volo che non venne più perché il vecchio aereo Dakota aveva avuto una avaria. E io rimasi a Morrumbala per 5 giorni… aspettando un aereo per tornare a casa! Fu una esperienza tosta. Non avevo roba per cambiarmi, dentifricio per lavare i denti e neppure acqua per lavarmi… Col caldo che faceva… ti lascio immaginare! Vidi i circa 5.000 rifugiati che man mano che i giorni passavano, cambiavano di aspetto. Cominciavano a indossare “vestiti da gente” e smettevano quella specie di panno che avevano ricavato da cortecce d’alberi o da vecchi sacchi sdruciti. E poi i bambini che tornavano a giocare contenti dopo aver mangiato! Ma ogni sera pregavo il Signore perché rinnovasse la moltiplicazione dei pani, perché cosa erano 20 tonnellate di materiali per 5.000 persone?... Fra Camillo a Inhassunge soccorre i rifugiati Poi, continuasti a parlare dicendo: «Io domani vado a Inhassunge, ma quella è un’isola di pace! Tu non dimenticare: il Lunedì dell’Angelo dobbiamo passarlo insieme con tutti i frati a Zalala, in spiaggia. Abbiamo bisogno di stare insieme, di riposare e di respirare un pò! Troppa tensione stiamo accumulando per causa di questa maledetta guerra, delle violenze e delle sofferenze della gente. Mi raccomando, non ci fare stare in pensiero. Non rimanere lì oltre il Lunedì dell’Angelo!». Fra Camillo, fra Francesco e fra Bruno: momenti di fraternità Io il Lunedì dell’Angelo ritornai, ma tu, coraggioso martire della pace, non c’eri più! La nyika, un tubero acquatico giallastro Le tre notti che passai a Mopeia fui ospite del sindaco. Mi sentivo nella tana del lupo. Ogni notte si sparava. E io ero nella casa più pericolosa di Mopeia. Non si dormiva. Della casa erano rimaste in piedi solo le mura. Il tetto era di paglia. Una notte piovve tanto. Il tetto cominciò a gocciolare. Mi rannicchiai in un angolo, mentre fuori era guerra e pioggia. Ma durante quei giorni riuscii a visitare la gente, a consolare e a tentare di seminare speranza. Vidi la fame e la tristezza delle persone. Le loro forze erano ridotte al lumicino. Mi dicevano: «Non ci muoviamo più! Risparmiamo energie!». Una famiglia mi mostrò l’ultimo cucchiaio di zucchero. Un’altra mi fece vedere il cibo di ogni giorno: la nyika, un tubero acquatico giallastro che cresce nelle zone lacustri. Amaro. Da trattare quattro cinque giorni in certa maniera per stemperarne l’amarezza. Quando pronto, si sfarina e si cuoce. Ne viene fuori una polenta insapore, gialla, brutta. La assaggiai… Niente commenti! Solo mi ripromisi che una volta tornato a Quelimane ti avrei chiesto di destinare a quella gente qualcosa della ‘tua’ Caritas. Il Lunedì dell’Angelo, di mattina presto, quando salutai e ringraziai il sindaco per l’ospitalità, lasciai quella casa con un sospiro di sollievo. «È finita -mi dicevo- me la son cavata! Deo gratias!» Fra Camillo. I primi anni di missione a Chinde «Poi accesi la mia radio ... Si diceva che a Inhassunge era successo qualcosa… Fra Camillo, fra Zaccaria e le suore: formazione dei catechisti Con la testa piena di pensieri e tanta ansia aspettai fino alle 11.00 per l’altro contatto radio. Corsi dai militari per mettermi in collegamento con le frequenze della radio delle missioni. Capirono le motivazioni e mi fecero un grande favore. Riuscii a interferire e a chiedere notizie. Ma ancora solo notizie frammentarie. Chiesi, come al solito, di mandarmi un aereo perché io non potevo più rimanere a Mopeia. “Promazione” della donna Verso mezzogiorno arrivò l’aereo e partii. A Quelimane si parlava ancora di un forte attacco dei guerrilheiros della Re.na.mo. (Resistenza Nazionale Mozambicana), ma non si conosceva che cosa fosse successo. Col provinciale fra Rosario Amico da Ceglie Messapica Camillo! Dirti che durante il percorso di quei 20 km, me la facevo sotto è troppo poco! Tu sai che c’era stata una mezza alluvione e la strada era ridotta a una serie infinita di pozzanghere. Avevo la testa piena di presentimenti brutti e ossessivi che scacciavo tra una pozzanghera da sviare ed un’altra presa in pieno, che schizzava addosso fango e acqua. I primi approcci di promozione umana Il rombo dei mig sovietici che volavano a bassa quota, gli elicotteri che volteggiavano sulla mia testa, il fragore di qualche bomba che cadeva da quegli strumenti di morte mi facevano sussultare e tremare! Affidai il volante della motocicletta al mio angelo custode… Se non voleva perdere lavoro, mi proteggesse! Mi era già successo un’altra volta a Micaune. Era la notte di Natale del 1987. Avevo celebrato il Natale con la comunità. Poi il comandante della caserma mi chiamò per ringraziarmi per gli aiuti che avevamo mandato per soccorrere l’ospedale militare. Era quasi ubriaco. Mi invitò a bere un bicchierino di nipa. Lo rifiutai dicendogli che avevo fretta di andare a Inhassunge dove i cristiani mi aspettavano per celebrare il Natale. Inhassunge: pozzo costruito da fra Camillo per il popolo Il tempo passava. Arrivava la notte. Il comandante ordinò ai suoi subalterni di avvisare i vari posti di blocco del mio passaggio e di rimuovere le mine che avevano piazzato sulla strada in difesa delle varie postazioni e di lasciarmi passare senza darmi fastidi. Poi mi disse che avrei potuto camminare tranquillo e mi salutò. Ti confesso, Camillo, che non gli credetti. Un’alternativa c’era. Avrei potuto passare la notte a Micaune. Ma d’istinto mi dissi di no! Ingranai la marcia e partii. Mentre camminavo fui assalito da una tale paura che non riesco ancora a decifrare. I consiglieri, fra Camillo e fra Gaetano Pasqualicchio insieme al superiore regolare fra Francesco Lungo quei 18 chilometri che mi separavano dalla comunità, di cui non ricordo più il nome, da un momento all’altro avrei potuto far scoppiare una mina. Certo è che, quando arrivai vicino alla cappella, i cristiani non credevano ai loro occhi di vedermi vivo, sano e salvo! Solo allora mi resi conto del grave pericolo che avevo corso. La loro reazione mi fece crollare. Ringraziai il mio angelo custode che certamente mi aveva guidato tra una mina e l’altra per arrivare vivo e celebrare il Natale con una comunità che non conoscevo! La fraternità di Inhassunge: fra Camillo con i frati Leone, Marcello, Carlo A proposito. Ti ricordi di quella sfida di motocross che tu ed io ingaggiammo da Mukupia alla Recamba qualche settimana prima? La stessa strada piena di pozzanghere, tu sulla tua mitica Suzuki 50 e io su una fiammante Guzzi 125, che il governo italiano ci aveva mandato insieme a tanto altro materiale. Ci spruzzammo addosso tutta l’acqua e il fango possibile tra sorpassi e controsorpassi, che ci costringevano a passare nelle considerevoli buche della strada. Fra Camillo e fra Carlo in visita alle camunità Mentre correvo con i miei brutti pensieri in testa e nel cuore, mi ricordai di questo match, e mi misi a ridere da solo… Tu tagliasti prima di me il traguardo, dopo aver fatto una delle tue solite furbate; mi tagliasti la strada presso il pontile di Recamba e mi obbligasti a mettere i piedi a terra per non tamponarti… Tutto si risolse in una sonora risata davanti a ignari spettatori, i passeggeri che aspettavano l’arrivo del battello per imbarcarsi per Quelimane. Il pesce delle cooperative di pasca fondate da fra Camillo. Pesce comprato e distribuito agli amici di Quelimane Ci misi un’ora e mezza per arrivare nell’area della popolazione di Jorge, a 4 Km da dalla nostra casa. Il ricordo di quella corsa mi distraeva dallo sfrecciare dei mig e degli elicotteri che volavano quasi sulla mia testa. Fra Camillo al lavoro nelle cooperative della saline E quanta pietà mi facevano le due file di gente che scappava con i suoi pochi averi legati nei loro mitolo (fagotti), caricati sulla testa, alla ricerca di un rifugio sicuro nella città di Quelimane. Salutavo tutti, ma nessuno mi rispondeva, anche quelli che mi conoscevano e ai quali chiedevo vostre notizie e che cosa fosse successo nel nostro convento di Malifate! Ormai erano le 16.00. Pensavo che non ce l’avrei fatta ad arrivare fino alla nostra casa di Malifate, località in cui è situata la nostra missione, ed essere all’imbarcadero alle 17.30 per prendere l’ultima corsa del battello per Quelimane. Ma decisi che, se non avessi potuto tornare, sarei rimasto la notte in convento a Malifate. Chi potevano essere: i guerrilheiros della Re.na.mo. o l’esercito regolare? Pensavo a queste cose sotto il rombo dei mig e le manovre spericolate degli elicotteri quando, ad una certa distanza, mi parve di vedere un posto di blocco di militari armati di kalashnikov. Mi sembravamo mitragliatrici quelle cose piazzate a terra. Rallentai, mi fermai. Chi potevano essere: i guerrilheiros della Re.na.mo. o l’esercito regolare? Che fare? Avanzare o ritornare? Fra Camillo, Fra Zaccaria e Maria Cannone: la distruzione della storica missione Inhassunge a Minjalene Ti ricordi quando il 10 gennaio c’era stato un altro attacco e tu ed io partimmo da Quelimane alla ricerca di fra Zaccaria Donatelli, fra Francisco Chimoio e degli altri frati? E quei sordi colpi di mortaio che scoppiavano a non molta distanza da noi, mentre giravamo tra case e villaggi in cerca dei frati? Nessuno di noi due parlava per dire l’unica cosa che avevamo sulla punta della lingua: dove ci siamo cacciati? Ma, con tanta paura sulla pelle, continuavamo a cercare notizie dei nostri fratelli! Li trovammo a Madango. L’incontro fu liberatorio. La gente che aveva ospitato i frati accolse anche noi con un ‘lanho’ raccolto proprio allora da una palma da cocco. Poi, rinfrancati, partimmo tutti insieme e andammo a vedere cosa fosse successo a Minjalene, la sede della antica missione costruita da fra Giocondo Pagliara e portata a termine da fra Edoardo Guastadisegni. Che desolazione! Un saccheggio totale, una motocicletta bruciata. L’ospedale, un vero gioiello nella foresta, sottosopra. Trovammo Maria Cannone, la nostra missionaria laica di Canosa: mi fece compassione! Tremava come un pulcino bagnato! Stupore, sconforto e… un certo senso di rabbia per una missione distrutta Sulla lavagna di una sala scolastica trovammo scritto con il gesso bianco: Daqui passou a Re.na.mo.! (da qui è passata la Re.na.mo!). Ti feci alcune fotografie, a te e a fra Zaccaria. Ti ricordi? ti dissi: la prossima volta verranno a Malifate, nella nostra casa!... E poi, mentre ci dirigevamo verso Malifate, incontrammo una triste processione di profughi disperati. Ci fermammo. Volevamo parlare con loro. Tu li conoscevi. Ma non ti davano retta. Solo camminavano. Non ci dissero né da dove erano fuggiti e neppure dove andavano. Chiusi nella loro disperazione, camminavano lentamente, i bambini legati dietro la spalla, lo sguardo sperduto, vestiti con panni ricavati da corteccia di qualche albero (non erano indumenti, ma autentici cilici degni degli antichi frati santi cappuccini!)… Tu promettesti che avresti portato il sale delle cooperative di saline che avevi fondato, ed altri aiuti della Caritas. Mentre tu promettevi queste cose io, ancora una volta, ti fotografai e, mestamente, partimmo con le nostre moto, dopo aver dato la precedenza a tutta la triste fila di uomini, donne, vecchi e bambini. Neanche quest’ultimi, sempre generosi nel regalare un sorriso, ci salutarono! Dopo questo balenare di ricordi, decisi di andare avanti. Ingranai la prima, accesi i fari della motocicletta alternando i fari medi e massimi quasi per mandare messaggi di … non so che cosa. Rifugiati Salutai. Mi identificai. Non mi sembrarono minacciosi. (Forse sapevano già della tragedia? Forse per questo non mi trattarono del tutto male!). Capii che si trattava di militari regolari. Dissi che andavo in missione a poco meno di 6 km e che subito sarei tornato perché avevo intenzione di traghettare per Quelimane. Mi opposero un fermo rifiuto! Tentai di dare tutte le ragioni della mia angoscia per la sorte dei 6 frati, di un novizio e di 6 postulanti che erano in missione. Non ci fu verso. Quando io ingranai la marcia e accennai ad un tentativo di passare oltre il posto di blocco, tre fucili mi sbarrarono la strada. Con una grande rabbia nel corpo, chiesi scusa, augurai una buona notte e feci inversione di marcia. L’innocenza umiliata Quando arrivai a Quelimane, in convento trovai fra Francisco Chimoio, fra Zaccaria, il novizio e i 6 postulanti; mi raccontarono che la zona della nostra casa era stata invasa dai guerrilheiros fin dal sabato notte e, cioè, dopo che eravate rientrati da Minjalene dove avevate celebrato la Veglia pasquale. Mi riferirono le tue scorribande lungo il greto del Mukurro per cercare di capire cosa succedeva. A un certo punto, essendo stato avvistato, ti spararono addosso. Tu te la scansasti correndo a gambe levate, arrivando a casa senza occhiali e a piedi scalzi! Solo tu potevi far questo! Ti sentivi sicuro e protetto dalla terra e dalla gente che ben ti conosceva da più di 12 anni. Ma i guerrilheiros, evidentemente, non ti avevano mai visto! Fra Francesco Monticchio 1970: Fra Camillo in partenza per il Mozambico |